mercoledì 30 novembre 2011

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UN LUOGO PER IL PENSIERO, LA BELLEZZA, LA POESIA
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rossanec

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- Ciao a tutti, se volete potete leggere i miei post su www.myspace.com/rossane1

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rossanec











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- 28 Marzo 2008
fightclub
FIGHT CLUB - Recensione del film

Di recente mi è capitato di scrivere per un cineforum una recensione su un film ormai datato, ma, visto che mi pare discretamente riuscita, ve la propongo... Se qualcuno ha visto il film poi mi dirà la sua...

Fight Club
Frugando nella poltiglia sanguinante dell'io
Quando Fight Club è uscito nel 1999 è stato al centro di roventi polemiche e di giudizi non certo lusinghieri. La critica fu durissima, poiché venne considerato come la massima espressione del "politically uncorrect", tanto che dalla sinistra fu ritenuto un film neanche troppo velatamente fascista per l'esplosione di violenza gratuita che esprimeva, mentre da destra, certo, una tale problematica eccessivamente basata sulla coscienza e sulla folle dissociazione psicologica non poteva avere molta presa. Forse oggi, a distanza di tempo, anche avvalendoci dei riferimenti successivi, possiamo ritenere Fight Club come un anticipatore della tematica legata alla schizofrenia della realtà americana dalla sua stessa origine, sulla falsariga di Gangs of New York e del più recente The Departed (entrambi di Martin Scorsese). In effetti, il regista David Fincher, già noto per la straordinaria indagine psicopatologica di Seven, si dedica al difficile compito di approfondire la violenza traumatica di rapporti sociali sempre più autolesionistici e distruttivi e della comunicazione distorta dell'essere umano con se stesso. Un mondo alienato in cui una faccia appare complementare dell'altra poiché il sadismo e il masochismo si completano a vicenda e sono le due espressioni dell'incapacità di fondo di interagire con gli altri e con il proprio io in modo positivo. Tutti ne sono vittime, essendo schiavi del benessere e quindi del denaro che serve per ottenerlo, nonché del sistema di cui è espressione, perché "Le cose che possiedi, alla fine ti possiedono".
Un'implosione che non trova via di scampo, come i peccati di Seven, dai quali nessuno è esente e meno che mai coloro che dovrebbero far rispettare le regole. Forse perché anche le regole stesse sono violente, e il mondo è marcio e malato alle fondamenta. Certo, si potrebbe ripartire dai rapporti umani più semplici ed istintivi, quelli con l'altro sesso o con la compagnia di omologhi, ma tutto questo appare impossibile e precluso, come l'incomunicabilità tra due personalità che mai si incontrano. Una doppia vita espressione dei nostri tempi, una violenza bruta e primitiva, che diventa l'ultimo rifugio dell'io, l'estremo disperato tentativo di riconoscimento di se stessi, ma, alla fine, non è che la materializzazione concreta, ben più sottile ed essenziale, del meccanismo sociale.
Il film è tratto dall'omonimo romanzo di Chuck Palahniuk il quale ha affermato di essere rimasto pienamente soddisfatto del risultato ottenuto dal regista, considerando addirittura migliore la soluzione adottata a livello cinematografico per il finale.
Il cast è di tutto rispetto con un grande Edward Norton perfettamente calato nella parte dell'impiegato giunto oltre il limite della propria alienazione, una Bohnam Carter in inquietante versione dark, e l'irridente sicurezza di Brad Pitt che persegue il suo delirante progetto come la più naturale delle realtà. Unico neo del film, una trama talvolta fin troppo complessa al punto da apparire, in alcuni momenti quasi indecifrabile, forse perché il regista ha voluto approfondire contemporaneamente molte tematiche sociali e psicologiche tutte di grande impegno.

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rossanec






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- 19 Aprile 2008
Ciao a tutti, questa è la recensione del "Don Giovanni" di Moliere realizzato a Milano nel febbraio scorso al Teatro Olmetto dalla Compagnia della Corte per la regia del mio caro amico Fabio Banfo. Forse sarò di parte, ma per me è stato uno spettacolo bellissimo...
Don-Juan-and-the-Commendatore-Don-Juan-or-Le-Festin-de-Pierre-by-Moliere-Engraved-Sauve
DON GIOVANNI E IL DESERTO DELL'ANIMA
Don Giovanni, come un moderno Capaneo dantesco, irridente, materialista e sarcastico, capace di respingere il cielo e nello stesso tempo in perenne lotta con esso in un implicito riconoscimento per negazione. Il Don Juan di Moliere visto dal regista Fabio Banfo nella coraggiosa e originale interpretazione della Compagnia della Corte, è un uomo prigioniero del suo deserto narcisistico. Assediato dalla morte già dall'inizio dell'opera, vive la sua parabola in un crescendo di ammonimenti, follie e tentativi di seduzione, di occasioni mancate che culmineranno nell'incontro con il Commendatore, il convitato di pietra, evocato proprio per dimostrare che i morti non possono tornare e che nulla esiste oltre ciò che vediamo. Un uomo, sembra affermare il protagonista, può permettersi tutto, basta che lo voglia e abbia il coraggio di prenderlo, non importa a quale prezzo.
L'ansia distruttiva e autodistruttiva della sua personalità di collezionista malato di avventure e di vita strappata e fatta a pezzi, non si rivolge solo alle donne possibilmente meno corruttibili e più pure, ma anche a tutto ciò che potrebbe testimoniare il bene o una felicità possibile.
Don Giovanni odia la felicità altrui, la invidia perché l'arida distesa che lo avvolge sulla scena dall'inizio alla fine in realtà alberga nel suo cuore. E' il deserto di un padre che lo ha condannato inesorabilmente, di una vita senza legami, con un servo che lo segue e diventa suo complice solo per denaro. E' un tronco spoglio che domina la scena privo di radici. Le scelta registica di non storicizzare l'opera ne fa un personaggio fuori del tempo, portandolo su un piano quasi metafisico, dove la nera figura di donna Elvira assume le sembianze di una Furia infernale che aleggia non vista, cieca come la vendetta, invisibile come la moglie dell'Uomo dal fiore in bocca di Pirandello, presentimento inesorabile della fine. Il viaggio di Don Giovanni e Sganarello nel bosco diventa una marcia per un "chissà dove" privo di meta e di scopo, un'attesa di Godot degna di Beckett.
Infine, a Don Giovanni viene concessa un'ultima possibilità: egli potrebbe ancora credere alla favola bella dell'amore, incontrare la donna-farfalla, vestirsi della magica polvere delle sue ali e volare lontano con lei. Ma il suo io è troppo pesante e incapace di guardare il cielo… pesante come i massi che alla fine la Parca gli porrà sul cuore in un inferno fatto di nulla.

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rossanec





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- 30 Marzo 2008
Ciao a tutti questo è il "pezzo" che ho scritto per Fabri Fibra, ascoltando il suo singolo "La soluzione", ma tenendo presenti i suoi ultimi cd in generale. Spero vi piaccia ( e che piaccia anche a lui.. chissà).
IL RAP AD OCCHI APERTI
Un pazzoide nevrotico, che probabilmente si fa di tutto, ex- bambino autistico, ex- obeso, ed oggi Fabri Fibra, al secolo Fabrizio Tarducci da Senigallia. Forse è solo una meteora che domani annegherà nella sua stessa disperazione, eppure non c'è nessuno che come lui abbia avuto il coraggio di immergere le braccia fino ai gomiti nel fango (chiamiamolo così) della nostra vita attuale e di fornirne un ritratto dall'interno spietato quanto realistico. Il ritmo del suo rap ci martella, le sue parole non ci lasciano tranquilli, e ci ritroviamo tutti, nel guazzabuglio mediatico delle illusioni collettive, nell'avvilimento del vuoto che non è solitudine, dove c'è sempre qualcuno che vuole qualcosa e qualcun altro che offre una soluzione. Pagando s'intende. Questo è Fabri Fibra, che non si chiama fuori, ma ripete prima di tutto a se stesso quello che non vorrebbe essere, ma alla fine è, perché la vita non è uno show, ma ci si avvicina anche troppo e tutti ci confondiamo. Fabrizio è un coraggioso temerario e folle che assorbe ogni notizia come una spugna e il suo cervello sembra sempre in continua ebollizione. Un bambino che non parlava e che oggi lancia parole come pugnali, ricordandoci la follia della guerra, la violenza inutile di tutti i giorni, l'ordinaria disperazione da annegare in qualcosa, e quell'amore sempre più lontano con le ragazze-veline fatte di plastica. Il dramma di chiedere all'esteriorità di significare qualcosa anche per l'interiorità, in un mondo in cui, invece, le due realtà tendono sempre di più a divergere.
Uno che "rima" per davvero, al punto di farci rivivere i drammi della cronaca con l'evidenza crudele dell'assurda tragedia, che dà voce ai ragazzi di vent'anni morti con le budella al sole in Iraq e al piccolo Tommy che non vedrà mai i suoi quattro anni. I suoi versi ci accompagnano per strada, le sue immagini ci inseguono, la sua ironia ci graffia anche dove credevamo di non sentire "più nulla". Certo, a Fibra piace provocare, dare "sangue alla folla", inventare qualcosa che non si possa facilmente dimenticare, e d'altra parte, le folli vigliaccherie di tutti sono anche le sue, perché denuncia il malessere, ma non dà soluzioni, ci invita a guardare oltre, fuori e dentro di noi, scoprendo gli angoli bui e i cadaveri nell'armadio. Mostra le ferite e ci ricorda, camminando lungo le strade di un vecchio quartiere deserto "Io non voglio idee stupide e ogni tentativo è inutile…" perché certo, ci sono cento modi per morire, e forse nessuno per vivere, ma quando arriverà saremo in piedi, ad occhi aperti, con il terrore nelle pupille, ma spalancate sul mondo.
Applausi per Fibra.

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2008-12-26T09:55:16+00:00
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rossanec






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4 Maggio 2008
Fibra al cimitero, certo, c'era da aspettarselo, dopo i "non provo più niente", i canti funebri e il fingersi morto (la trovata, però, non è solo sua, ha illustri precedenti), che altro poteva fare ancora? Ma in mezzo a tutte quelle croci ci accorgiamo di quanto sia vivo, lui e la sua faccia senza sorriso, per lo più, ironica e divertita, magari, ma sempre troppo attenta alla realtà per poter ridere davvero. Un cimitero che si confonde con i vetri rotti di un fabbrica dismessa, una via di mezzo tra uno sfasciacarrozze e un riciclaggio di ferraglie, così maledettamente comune qui, in quel di Brescia da dove scrivo. Si riescono ad immaginare benissimo quelle ferraglie rugginose e triturate che si avvicinano così tanto alle nostre facce, con l'aria che ci pesa addosso come un macigno. Tutto è così uguale, ugualmente tragico e disperato da vivi e da morti, croci fatte con lo stampino per chi sognava una vita diversa e speciale.A volte c'è così tanto silenzio che sembra di cadere senza fine nel vuoto. O forse c'è talmente tanto baccano inutile da sembrare vuoto pneumatico. E Fabrizio cammina, cammina tra le croci, tra i vetri rotti, in mezzo alle statue e ai santini, e lo spazio si dilata e ci investe. Volevo solo vivere nella mia terra… e invece ci tocca resistere anche senza scorta, solo con la nostra tristezza. E chissà, magari qualche psicanalista tirerà fuori dal cilindro "la soluzione" che ci permetta di integrarci e confonderci meglio in questa vita di merda. Ma bravo.
E' proprio vero, hai ragione tu. Si odia molto solo se si ama molto.

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2008-12-26T09:56:49+00:00
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rossanec





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- 17 Maggio 2008
Sto sentendo "Hip – hop" di Fabri Fibra e mi stava tornando in mente che sabato scorso qui a Brescia c'era "La giornata dell'arte": il centro era invaso di ragazzi delle scuole superiori che facevano murales, esponevano i loro lavori, mentre altri suonavano un po' di tutto. C'erano palchi ovunque, ed era il regno dell'immaginazione e della fantasia al potere, una volta tanto. Ad un certo punto ho sentito alcuni che stavano facendo freestyle, e ho pensato a Fabrizio, a quando dice che il rap gli ha salvato la vita e ho sorriso: non mi ero mai resa veramente conto di quanto questo genere di musica possa servire ad esprimere se stessi e la sua forma semplice e ritmata, si presti all'improvvisazione e accompagni la vita. Non me ne ero resa conto finché non mi sono svegliata a volte con qualche sua canzone che mi batteva nel cervello, già di prima mattina.

Insomma, l'altro giorno mi sono quasi commossa... pensando che c'è un mondo dentro di noi che aspetta solo un ritmo per poter uscire e diventare qualcosa, vita, messaggio, grido. Forse passando di lì anche il nostro F F si sarebbe fermato e avrebbe rimato su quel palco improvvisato. Perché questa è una musica dove viene fuori proprio quello che si è o non si è, con la crudezza di chi cerca di mettere da parte le ipocrisie consuete, ma soprattutto permette raccontare una storia, la propria storia, facendola diventare di tutti.
Ciao bella Fibra
Non so perché ma ascoltandoti si finisce per amare la vita

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2008-12-26T10:11:01+00:00
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rossanec






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- 1 Giugno 2008
La guerra non è solo una realtà lontana, spesso diventa il sentimento sociale constante di una violenza che si riversa come un fiume in piena su vittime e carnefici, lasciando nel nostro cervello le sue impronte sanguinati e indelebili...

http://www.youtube.com/watch?v=3JWtQPalry4



Fabri Fibra - Rap in guerra


Il mio corpo è a terra ma non mi sposti da qui... non mi sposti da qui... non mi sposti da qui!


Anche coloro che resistono se la scoprono nel cuore come un parassita che ci risucchia la vita....

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2008-12-26T10:21:35+00:00
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rossanec









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-  1 Giugno 2008
into_the_wild

 
Sono passati i mesi, ma le immagini di Into the Wild di Sean Penn continuano a scorrere indelebili nella mia mente, accompagnate dalla meravigliosa voce di Eddie Vedder, già presaga della nostalgia che pervade il nostro stesso essere.

E' sempre lì, nella memoria, quel ragazzo che ha cercato disperatamente la felicità, con il coraggio folle dei vent'anni - quello che tutti almeno una volta nella vita abbiamo avuto - ed è stato tradito dai limiti stessi della Natura.

Dall'illusione di essere libero, perché solo, di fronte alle incommensurabili forze dell'universo.

Perduta per sempre l'innocenza quando le sue mani emergono sanguinati dalla carcassa di un alce ucciso inutilmente, per giungere al respiro più grande della vita e della sua forza affascinante e crudele. Tanta strada per scoprire che l'unica felicità possibile è nella compassione tra gli uomini oppure non sarà mai...

 Ma quel suo sogno certo vuole dire che bisognava volare... che bisognava volare....






http://www.youtube.com/watch?v=IWgxntibBtE

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